MICHELANGELO ANTONIONI: l'ardito dal nessun compromesso!
"Com'è fotogenico il vento"

"I film di Antonioni più che puntare sull'azione puntano a descriverne le conseguenze"; con la "non azione" si compie l'opera di questo straordinario film-maker. Nato a Ferrara nel 1912, laureato in economia e commercio, pittore, critico cinematografico, soggettista ma anche sceneggiatore, è cineasta ardito, figura di rilievo della settima arte. Autore di una regia moderna strutturata filmando i cosiddetti "tempi morti", gira sequenze e inquadrature che un altro regista avrebbe tagliato in fase di montaggio.

Dunque una cinematografia complessa, lenta e riflessiva: montaggio essenziale, lunghi e statici piani sequenza intrisi di ripetuti silenzi, limitati dialoghi esageratamente intellettualistici se non al limite del comprensibile. Ha dichiarato: "...sento il bisogno di essere asciutto, di dire le cose il meno possibile, di usare i mezzi più semplici e il minor numero di mezzi". La dilatazione delle scene è proverbiale: si ha l'impressione che la macchina inizi a girare prima di quanto dovuto e finisca molto più tardi del necessario, e alla narrazione tradizionale viene preferita una casualità degli accadimenti che si evolve su percorsi poco prevedibili.

Per Tonino Guerra Antonioni è: " sempre a un metro sopra della realtà". Cinema ermetico, mai d'intrattenimento, intellettuale, dalle nuove e moderne soluzioni narrativo-stilistiche e intransigente sotto tutti i punti di vista, nel quale il punto focale è l'ambiguità sia sentimentale che etica e culturale. Il terreno preferito dal maestro Ferrarese, è il disagio esistenziale della società borghese italiana del quale opera uno studio approfondito sull'incomunicabilità e l'alienazione dei protagonisti. Questo "disagio" viene descritto ricorrendo soprattutto alle immagini, con la costruzione precisa delle inquadrature, con lo straordinario rapporto che si instaura tra personaggi e spazio circostante, al punto che si ha l'impressione che i dialoghi siano superflui. La decisa e coerente intransigenza di autore "puro" senza compromessi è entrata in continuo contrasto con i produttori, che ritengono una pellicola di Antonioni un rischio commerciale. Non solo! Anche con la censura ha dovuto spesso fare i conti.

Dunque un cineasta ardito dal nessun compromesso! Quando pressoché l'intera cinematografia italiana inseguiva la corrente neorealista, Antonioni (ma anche Fellini, seppur su terreni diversi) strutturava all'opposto un cinema di ricerca libero da schemi e tendenze ricorrenti.

Dopo aver collaborato con Marcel Carné e Luchino Visconti soltanto per ricordarne alcuni, ha firmato una serie di interessanti cortometraggi di natura neorealista per poi passare al lungometraggio nel 1950 con "Cronaca di un amore" con cui si discosta già profondamente da questa matrice; nella storia: un giallo dai complessi movimenti di macchina sulla borghesia desolata, falsa ed egoista. Il seguente film a episodi "I vinti", una forma d'inchiesta sui disagi della gioventù europea del dopoguerra, è irriconoscibile a causa della censura che, addirittura, in Francia lo proibisce. Dopo "La signora senza camelie" del 1953, una pregevole indagine sui personaggi femminili e la loro introspezione, è la volta de "Le amiche". Tratto dal romanzo di Cesare Pavese "Tre donne sole", nonostante i continui problemi con la produzione, riceve il primo riconoscimento internazionale, il Leone d'Argento alla Mostra di Venezia; ricordiamo a riguardo le sequenze in esterni girate in una straordinaria Torino. Il seguente "Il grido", definito dai francesi come film del "neorealismo interiore", è Gran Premio al Festival di Locarno.

Nel 1959, tra molteplici disavventure sia logistiche che produttive, esce "L'avventura", Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes e primo successo internazionale. Con questa opera si inaugura la trilogia ("L'avventura", "La notte" e "L'eclisse" o la tetralogia se consideriamo anche "Deserto rosso") dell'esistenziale, dell'incomunicabilità o dell'esplorazione della vita contemporanea. "La notte", secondo capitolo della trilogia, è strabordante di disagi sociali ma anche e soprattutto interiori. "L'eclisse", del 1962; Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes, chiude il trittico. Nel 1964, con "Deserto rosso", Leone d'Oro alla Mostra di Venezia, Antonioni gira il suo primo film a colori che si rivela suggestivo e stupefacente per la spregiudicata ricerca cromatica, completata dalla pregevole fotografia di Carlo Di Palma. L'opera, a tratti esageratamente intellettualistica, lenta e poco comprensibile nel messaggio, si snoda lungo un intenso rapporto tra spazio e personaggi.

Grazie alla trilogia, nonostante i travagliati problemi produttivi, Antonioni si consacra tra i dieci registi più importanti del mondo, cosa che gli permetterà di firmare un contratto con la Metro Goldwin Mayer per tre film in inglese: "Blow-up", "Zabriskie Point" e "Professione reporter". Per "Blow-up", Palma d'Oro al Festival di Cannes, l'ambiente, gli spazi visivi, non rappresentano più soltanto un contorno ma sono elemento significante ed interagente con la storia; l'ambiguità non è soltanto umana e sentimentale ma anche e soprattutto sociale; "Blow-up" è il primo film americano dal successo sia commerciale che critico. In "Zabriskie Point", del 1970, ci sono due sequenze passate alla storia: la coppia che fa l'amore nel deserto con la musica di Jerry Garcia chitarrista dei Grateful Dead e l'esplosione finale, girata al rallenti con diciassette macchine, sulla musica dei Pink Floyd. Il film si è rivelato però un completo disastro finanziario. L'ultimo lavoro in terra americana è "Professione: reporter" definito da Mereghetti il film "tra i più belli e misteriosi di Antonioni: assolato, vitreo, impareggiabile nell'usare scenari tanto diversi".

Dopo un'assenza durata sei lunghi anni, torna dietro la macchina da presa per "Il mistero di Oberwald", esperimento tecnico girato in video e poi riportato in pellicola per manipolare il colore. Nell'82 "Identificazione di una donna"; nello stesso anno ha ricevuto la Palma d'Oro al Festival di Cannes alla carriera. Nell'94 a ben ottantatrè anni, con alle spalle un decennio di inattività ed una malattia che dal 1985 lo ha privato della parola e costretto su di una sedia a rotelle, ardito più che mai, e con la collaborazione di Wim Wenders, suo grande estimatore, è tornato alla regia per il film a episodi "Al di là delle nuvole". Nel 1995, anno del centenario del Cinematografo, è stato insignito del Premio Oscar alla carriera (due anni dopo di Federico Fellini).

È dunque la critica della borghesia, presa come terreno di riferimento e studio, senza dubbio il tema ricorrente e preferito della cinematografia di Michelangelo Antonioni, tutta interiore, capace di narrare in modo straordinario l'inquietudine umana e sociale. La sua regia raggiunge altissimi livelli figurativo-stilistici nel rendere il rapporto tra i personaggi e l'ambiente; un cinema dentro cui si vaga senza raggiungere mai una meta.

Filmografia:

Cortometraggi
"Gente del Po", 1943-'47;
"N. U. (Nettezza urbana)", 1948;
"Oltre l'oblio", 1948;
"L'amorosa menzogna", 1949;
"Superstizione", 1949;
"Bomarzo", 1949;
"Ragazze in bianco", 1949;
"Sette canne un vestito", 1949;
"La villa dei mostri", 1950;
"Uomini in più", 1950;
"La funivia del Faloria", 1950;
"Ritorno a lisca bianca", 1983;
"Fotoromanza", videoclip, 1984;
"Kumbha Mela", (girato nel 1977)1989;
"Roma", 1990;
"Noto, Mandorli, Vulcano, Stromboli, Carnevale", 1992.


Lungometraggi
"Cronaca di un amore", 1950;
"I vinti", film con 3 episodi, 1952;
"Tentato suicidio", solo episodio "Amore in città", 1953;
"La signora senza camelie", 1953;
"Le amiche", 1955;
"Il grido", 1956;
"L'avventura", 1959;
"Nel segno di Roma", solo regia degli interni, distribuito anche con il titolo "La regina del deserto", 1959;
"La notte", 1960;
"Il fiore e la violenza", solo episodio "Il delitto" già distribuito ne "I vinti", 1962;
"L'eclisse", 1962;
"Deserto rosso", 1964;
"I tre volti", solo prefazione "Il provino", 1964;
"Blow-up", 1966;
"Zabriskie Point", 1970;
"Chung Kuo, Cina", documentario, 1972;
"Professione: reporter", 1974;
"Il mistero di Oberwald", 1980;
"Identificazione di una donna", 1982
"Al di là delle nuvole", con la collaborazione di Wim Wenders che ha diretto: Prologo-Intermezzo-Epilogo, 1994;
"12 registi per 12 città", episodio "Roma", 1998.

Nato a Ferrara nel 1912, dopo gli studi universitari in economia e commercio, cominciò a lavorare come critico, passando poi alla sceneggiatura, collabora con Carnè, Les visiteurs du soir. Il suo esordio è nel 1947 con il documentario Gente del Po, N.U. (Nettezza Urbana) e L'amorosa menzogna. Nel 1950 realizza il suo primo film Cronaca di un amore, quindi curò la regia di un film a episodi sulle inquietudini della gioventù nel secondo dopoguerra, I vinti (1953). Lo stile personale del regista, con il suo rifiuto e la rottura degli schemi narrativi tradizionali, e con i temi molto attuali sull'angoscia dell'uomo moderno, cominciano a delinearsi in modo netto nei film Le amiche (1955), riduzione del romanzo di Cesare Pavese Tra donne sole, e Il grido (1957). Ma solo successivamente lo stile e la personalità del regista emergono appieno: L'avventura (1960), La notte (1961), L'eclisse (1962) che affronta il tema della crisi sentimentale e morale fra persone che non riescono a trovare un punto di incontro. Deserto rosso (1964), premiato con il Leone d'oro alla Mostra di Venezia, i temi sull'incomunicabilità fra gli uomini, affrontati nei film pongono l'opera di Antonioni fra quelle più significative del cinema degli anni '50 e '60. In Blow up, infatti, il rapporto fra ciò che è e ciò che appare, con la conseguente alienazione di chi vive in questa ambivalenza, viene riproposto in un ambiente internazionale, come la Londra della metà degli anni sessanta. Il film vincitore del Gran Premio al Festival di Cannes, spinse Antonioni a tentare una interpretazione sempre in chiave polemica della gioventù americana, in rivolta contro l'autorità dei padri; con Zabriskie Point (1970), il film fu contestato dalla critica che accusò il regista di aver voluto parlare di un ambiente e di problemi a lui sconosciuti. Anche il documentario sulla Cina Popolare, realizzato per la televisione nel 1973 raccolse da parte della critica cinese molte critiche. In seguito realizza Professione: reporter (1975), un giallo ambiguo e inquietante considerato uno dei migliori film del regista. Per la televisione italiana ha realizzato Il mistero di Oberwald, una curiosa ed originale interpretazione dell'Aquila a due teste di Cocteau, ristabilendo a distanza di tanti anni il sodalizio artistico con Monica Vitti, protagonista di molti suoi film. Nel 1982 dirige Identificazione di una donna, e viene premiato al trentacinquesimo Festival di Cannes per la sua opera. E' datato 1994 l'ultimo film realizzato dal grande regista, Al di là delle nuvole, all'età di 83 anni, con l'aiuto del collega tedesco Wim Wenders.

Dopo aver collaborato alla sceneggiatura di "Un pilota ritorna" (1942) di Rossellini e lavorato come aiuto-regista per Marcel Carné, dirige con "Gente del Po" (1943-1947) il suo primo documentario. Esordisce nel lungometraggio con "Cronaca di un amore" (1950), acuta analisi d’una crisi di coppia: seguono, tra gli altri, "La signora senza camelie" (1952), impietosa disamina del mondo del cinema, e "Le amiche" (1955), angosciata lettura del bel racconto di Pavese "Tra donne sole". Già in codesti lavori si delineano nettamente quelle che saranno le coordinate dell’opera del cineasta romagnolo: la difficoltà a stabilire rapporti interpersonali veri, l’inafferrabilità del reale, lo spaesamento dell’individuo alle prese con una società neocapitalista fredda e disumanata.
La rottura con il cronachismo neorealistico è evidente e si fa netta ne "Il grido" (1954), che sposta dall’ambiente borghese a quello proletario le tematiche del malessere esistenziale, eleggendo a protagonista un operaio che spegne nel sucidio la pena figliata dal concludersi d’una lunga relazione d’amore.
Da qui in avanti, il percorso di Antonioni procede spedito sulla via d’un deciso rinnovamento, linguistico quanto di contenuti, del cinema indigeno: "L’avventura" (1960), "La notte" (1961), "L’eclisse" (1962), "Deserto rosso" (1964), sovente nelle forme di gialli atipici, pongono personaggi femminili al centro di storie segnate dalla perdita, dallo smacco, dallo sgomento; in definitiva, da tutto ciò che infine prenderà il nome di incomunicabilità.
Non sempre capace di controllare per forza d’istinto o vastità di cultura una così azzardosa materia, egli alterna esiti mirabili (s’è detto de "Il grido", forse la cosa sua più intensa e riuscita; è lecito aggiungervi almeno "L’avventura", abbagliante di immagini e pause, luci e rumori) a pagine periclitanti, ove viene ripetutamente sfiorata la maniera ed i dialoghi annegano a tratti nel ridicolo (celeberrimo il "mi fanno male i capelli", pronunciato da Monica Vitti in "Deserto rosso"). Il prosieguo del suo iter artistico non dissipa i dubbi, tutt’altro: la trasferta britannica di "Blow-up" (1967), tra facili simbolismi e cascami della Swinging London, fa il paio per pacchiana belluria con quella statunitense di "Zabriskie Point" (1970), elogio della controcultura lisergica vista nei modi d’un apocalisse da trovarobe.
Solo in "Professione: reporter" (1972), segnatamente nei sette minuti dello strepitoso piano sequenza conclusivo, ritroviamo i segni dell’antica maestria: tutto il resto, dall’innecessario esperimento sul colore de "Il mistero di Oberwald" (1980) ai solipsistici contorcimenti di "Identificazione di una donna" (1982) è postilla pleonastica, mesto ritorno sul luogo del delitto dismentando lo scioglimento dell’enigma.
Rivisto oggi, il cinema del Nostro appare irrimediabilmente datato: privo di continuatori che abbiano saputo sviluppare i lati meno caduchi della sua lezione (l’uso innovativo del linguaggio cinematografico, la lucidità disperatamente laica del suo occhio), esso rimane mera ed un po’ sterile testimonianza d’una personalità pur inconfondibile, nel bene come nel male.

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